Cara ministro, torniamo a scuola in settembre, magari sfruttando i fondi europei e creando classi di non più di venti alunni. Adeguiamoci a norme standard comunitarie. Ma i divisori in plastica trasparente per favore no
L’idea di far tornare gli studenti a scuola a settembre, separandoli con divisori in plexiglass, sembra non aver retto le 24 ore. Dopo un giorno non se ne sente più parlare. Almeno speriamo che sia così. Personalmente credo che questo sia il momento per decidere che la scuola a settembre ci sarà e sarà in presenza. Per decidere, invece, come sarà questa scuola settembrina, mi darei due mesi di tempo. In questi due mesi avremmo da una parte il vantaggio di capire come la pandemia evolve (o involve), considerato che già adesso sembra aver mutato completamente sia il quadro epidemiologico che quello clinico. Prendere oggi decisioni su aspetti come “il plexiglass a scuola”- ovvero relative a qualcosa che avverrà tra più di tre mesi – è probabilmente fuori luogo. Ad oggi, la pandemia ha solo 5 mesi di vita, non ne sappiamo quasi nulla, possiamo studiarla e provare a contenerla nel momento stesso in cui accade. Ogni giorno chi ci governa deve prendere decisioni che, magari, cambiano quanto stabilito 15 giorni prima. Rispetto al ritorno a scuola, però, abbiamo un grande vantaggio.
Molte nazioni europee in queste settimane hanno fatto rientrare gli studenti a scuola. Hanno fatto scelte e preso decisioni in parte simili, in parte divergenti. Nel prossimo mese avremo – dalla loro esperienza – indicazioni chiare su cosa ha funzionato di più e cosa di meno. Ciò che auspico è che non ci sia, a settembre, il modello italiano, quello svedese, quello svizzero e quello inglese. Tutte le nazioni avranno da giocare la stessa partita e vincere la stessa sfida: aprire le scuole in sicurezza in una fase della pandemia in cui ancora non sarà disponibile il vaccino. Tutti i bambini si troveranno nella medesima situazione. Non sarebbe meglio che i ministri della Scuola di ogni nazione europea costituissero un comitato internazionale che vara linee guida valide per tutti? Avremmo il vantaggio di moltiplicare non solo i punti di vista, ma di appoggiarci anche al know how di nazioni che hanno sistemi scolastici molto all’avanguardia e che probabilmente non si lasceranno prendere alla sprovvista. Anche noi vorremmo giocare la loro stessa partita.
Abbiamo un’ottima scuola, ottimi docenti. Purtroppo, rispetto ad altre nazioni europee, abbiamo anche classi pollaio, edifici fatiscenti e parecchie vulnerabilità di sistema. La scuola in Italia non ha mai rappresentato la priorità di nessun governo degli ultimi 30 anni. E più volte, sia noi genitori sia i docenti stessi, ne abbiamo toccato con mano le amare conseguenze. Magari in questo confronto allargato tra sistemi scolastici di tutta Europa, mirato ad un obiettivo comune, impariamo anche qualche altra buona lezione di buon funzionamento del sistema. E ci dimentichiamo il plexiglass.
Il dibattito è aperto: possiamo aspettare la fine di luglio per decidere che cosa significa rientrare a scuola in sicurezza? Possiamo immaginare di realizzare un modello europeo e non singoli modelli in ogni nazione? E soprattutto possiamo pensare ad interventi che richiedono investimenti che non si esauriscono nel breve termine, ma di ampio respiro. Per esempio, spendere un sacco di soldi in plexiglass tra qualche mese avrà solo generato un aumento dell’inquinamento planetario senza aver migliorato di nulla la qualità della nostra scuola. Pensare invece a classi che non hanno più di 20 studenti potrebbe avere un impatto fortissimo sia sul contagio sia sul futuro dei nostri figli e della nostra scuola. Riceveremo un tesoretto grazie ai finanziamenti europei. Servirà a far ripartire l’economia. Ma non dobbiamo dimenticare che se l’economia ha sofferto, i nostri figli e il loro progetto scolastico hanno sofferto pure. Sofferto moltissimo. Una quota di quel tesoretto potrebbe servire a fare ciò che negli ultimi 30 anni nessuno ha fatto: dare nuove risorse al sistema scuola.