+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 6,1-6
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Riflessione
• Il vangelo di oggi parla della visita di Gesù a Nazareth e descrive la chiusura
mentale della gente di Nazareth, che non volle accettarlo (Mc 6,1-6). Il vangelo di
domani descrive l’apertura di Gesù verso la gente della Galilea, dimostrata
tramite l’invio in missione dei suoi discepoli (Mc 6,7-13).
• Marco 6,1-2a: Gesù ritorna a Nazareth. “In quel tempo, Gesù andò nella sua patria
e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella
sinagoga”. È sempre bene tornare nella propria patria e ritrovare le persone
amiche. Dopo una lunga assenza, anche Gesù ritorna e, come al solito, il sabato,
va alla sinagoga per partecipare alla riunione della comunità. Gesù non era il
coordinatore della comunità, ma pur non essendolo prende la parola e comincia
ad insegnare. Segno questo che le persone potevano partecipare ed esprimere
la propria opinione.
• Marco 6,2b-3: Reazione della gente di Nazareth davanti a Gesù. La gente di
Cafarnao aveva accettato l’insegnamento di Gesù (Mc 1,22), ma alla gente di
Nazareth non sono piaciute le parole di Gesù e rimane scandalizzata. Motivo?
Gesù, il ragazzo che conoscevano fin dalla nascita, come mai ora è così diverso?
Loro non accettano il mistero di Dio presente in Gesù, un essere umano comune
come loro, conosciuto da tutti! Per poter parlare di Dio, doveva essere diverso da
loro! Come si vede, non tutto andò bene per Gesù. Le persone che sarebbero
dovute essere le prime ad accettare la Buona novella erano proprie quelle che
facevano più fatica ad accoglierla. Il conflitto non era solo con gli estranei, ma
anche e soprattutto con i propri parenti e con la gente di Nazareth. Loro si
rifiutavano di credere in Gesù, perché non riuscivano a capire il mistero di Dio che
avvolgeva la persona di Gesù. “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza
è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non
è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda
e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” Non riescono a credere in
Gesù!
• I fratelli e le sorelle di Gesù. L’espressione “fratelli di Gesù” suscita grande
polemica tra cattolici e protestanti. Basandosi su questo testo e su altri, i
protestanti dicono che Gesù ebbe più fratelli e sorelle e che Maria ebbe più figli!
I cattolici dicono che Maria non ebbe altri figli. Che pensare di tutto questo? In
primo luogo, le due posizioni, sia dei cattolici sia dei protestanti, tutte e due
ocarm.org 11
hanno argomenti tratti dalla Bibbia e dalla tradizione delle due rispettive Chiese.
Per questo, non conviene discutere su questa questione con argomenti attinenti
solo alla ragione. Perché si tratta di convinzioni profonde, che hanno a che vedere
con la fede e con i sentimenti sia dei cattolici sia dei protestanti. Un argomento,
attinente solo alla ragione non riesce a smontare una convinzione del cuore! Irrita
ed allontana! Anche quando non condivido l’opinione dell’altro, devo comunque
rispettarla! E noi cattolici e protestanti, invece di discutere sui testi, dovremmo
unirci per lottare in difesa della vita, creata da Dio, vita così sfigurata dalla povertà,
dall’ingiustizia, dalla mancanza di fede. Dovremmo ricordare altre frasi di Gesù:
“Sono venuto affinché tutti abbiano vita, e vita in abbondanza” (Gv 10,10). “Che
tutti siano uno, affinché il mondo creda che Tu, Padre, mi hai mandato” (Gv 17,21).
“Chi non è contro di noi, è con noi” (Mc 10,39.40).
• Marco 6,4-6. Reazione di Gesù dinanzi all’atteggiamento della gente di Nazareth.
Gesù sa molto bene che “nessuno è profeta nella sua patria”. E dice: “Un profeta
non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Infatti, lì
dove non c’è accettazione né fede, la gente non può fare nulla. Il preconcetto lo
impedisce. Gesù, pur volendo, non può fare nulla e si meraviglia di fronte alla loro
mancanza di fede. Per questo, dinanzi alla porta chiusa della sua comunità,
“cominciò a percorrere i villaggi, insegnando”. L’esperienza del rifiuto spinse
Gesù a cambiare direzione. Lui si dirige verso altri villaggi e, come vedremo nel
vangelo di domani, coinvolge i discepoli nella missione dando istruzioni su come
devono continuare la missione.
Mercoledì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Grado della Celebrazione: Feria
Colore liturgico: Verde
La fede è necessaria perché il Signore possa agire liberamente e donare abbondantemente le sue grazie: per la mancanza di fede dei suoi compatrioti, dice san Marco, non potè operare fra loro alcun prodigio. Non riuscivano a credere in lui perché era uno di loro, non aveva niente di straordinario, l’avevano sempre conosciuto… proprio non si capacitavano come potesse essere qualcuno diverso da quello che loro vedevano.
La prima lettura ci ricorda che anche noi, e molto facilmente, possiamo fermarci alle apparenze contrarie e non riconoscere l’intervento di Dio. Questo succede nelle difficoltà, nelle prove. Le prove giungono per tutti, credenti e non credenti, ma noi abbiamo l’impressione che per noi credenti non dovrebbero esserci, o almeno dovrebbero essere solo di un certo tipo… Ci sconcertano e facciamo molta fatica a riconoscervi la mano di Dio.
La Scrittura ci insegna ad andare al di là delle circostanze, che ci sembrano sempre strane, penose, per riconoscere in esse la presenza di Dio che vuoi operare e per questo ha bisogno che noi ci apriamo alla sua azione. “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio”, diceva già il libro dei Proverbi. E l’autore della lettera agli Ebrei lo ricorda ai cristiani per ammonirli: “Tutto ciò che state soffrendo è una correzione; non prendetelo semplicemente come una difficoltà!”. Si tratti di malattie, o di difficoltà nei rapporti interpersonali, o di fallimenti in ciò che facciamo per il Signore, prendere le cose semplicemente nel loro aspetto esterno è mancanza di fede. “E per la vostra correzione che voi soffrite Dio vi tratta come figli”. C’è una relazione con Dio che dobbiamo riconoscere, una intenzione di Dio alla quale dobbiamo corrispondere nella fede. Allora cambia tutto. La prova è illuminata dall’interno e invece di essere semplicemente un motivo di sofferenza diventa una occasione per sentirci in relazione più diretta con Dio: Dio si interessa di noi. Quando si è provati si ha invece l’impressione contraria: Dio ci abbandona, non pensa più a noi, ci lascia in una situazione che non corrisponde al nostro essere figli suoi… E la verità è proprio il contrario di tutto questo. Invece di lamentarci dovremmo essere contenti, perché Dio si interessa di noi: “Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?”.
È difficile, sempre difficile, sempre da ricominciare, il riconoscere in una prova, in una difficoltà l’intervento positivo di Dio verso di noi. È un atto di fede, perché non le apparenze ce lo dicono, ma la parola di Dio, ma lo Spirito Santo in noi, che ci apre gli occhi e ci fa capire che Dio sta intervenendo nella nostra vita, e in modo più attivo, in modo più affettuoso quando ci mette alla prova con delle difficoltà.
L’autore è molto realista e constata: “Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza”. E una esperienza che non ha bisogno di essere commentata, dovuta all’amor proprio. Qui non la sofferenza, ma l’umiliazione è messa in rilievo: se qualcuno ci fa notare un nostro difetto, una nostra mancanza, noi ci rattristiamo al punto da pensare soltanto all’osservazione che ci è stata fatta, e non al difetto o alla mancanza! Dovremmo superare la reazione dell’amor proprio e riconoscere che ci è stato dato un aiuto, di cui dovremmo essere contenti. È una constatazione a cui erano già arrivati i filosofi antichi. Socrate diceva che il colmo della felicità è non aver difetti e non fare niente di male, e aggiungeva che subito dopo viene la felicità di essere corretti quando si sbaglia, perché allora ci si può emendare.
La Scrittura va molto più in profondità: dobbiamo essere felici che il Signore ci corregga non soltanto perché è una occasione per progredire, ma perché così la nostra relazione con lui diventa più stretta. È dunque un motivo di fiducia tanto più grande se pensiamo che la nostra sorte è legata a quella di Cristo.
La lettera agli Ebrei già ci ha detto come Gesù, pur essendo il Figlio perfetto, ha voluto per noi imparare l’obbedienza dalle cose che patì, ha voluto conoscere quella educazione dolorosa che a noi è necessaria. Ora, quando noi viviamo a nostra volta questi momenti di dolorosa educazione, siamo uniti a lui in modo speciale e possiamo crescere molto nel suo amore.
La prova motivo di speranza, la prova mezzo per amare: sono le prospettive da tener presenti nelle occasioni grandi e piccole di difficoltà e di disagio, che dovrebbero nutrire il nostro coraggio e la nostra fede. Il Signore non ci fa sapere in che modo intende comunicarci i suoi doni e farci crescere nella fede e nell’amore. Domandiamogli che ci apra gli occhi perché sappiamo vedere in tutto la sua paterna attenzione verso di noi.
|
|||
Prima lettura | |||
Eb 12,4-7.11-15 Il Signore corregge colui che egli ama. |
|||
|
|||
Salmo responsoriale | |||
Sal 102 | |||
|
|||
|
|||
|
|||
Mc 6,1-6 Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria. |
|||
|
|||
|
|||
|
i santi del 03 Febbraio 2021
San BIAGIO Vescovo e martire – Memoria Facoltativa
† Sebaste, Armenia, ca. 316
Il martire Biagio è ritenuto dalla tradizione vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della “pax” costantiniana. Il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è perciò spiegato dagli storici con una persecuzione locale dovuta ai contrasti tra l’occidentale Costantino e l’orientale Licinio. Nell’VIII secolo alcuni armeni portarono le reliquie a Maratea (Potenza), di cui è patrono e dove è sorta una basilica sul Monte San Biagio. Il suo nome è frequ…
www.santiebeati.it/dettaglio/
S