+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 11,37-41
Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro.
• Luca 11,37-38: L’ammirazione del fariseo dinanzi alla libertà di Gesù. “In quel tempo, dopo che Gesù ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo”. Gesù accetta l’invito a pranzo a casa del fariseo, ma non cambia il suo modo di agire, sedendosi a tavola senza lavarsi le mani. Ma nemmeno il fariseo cambia il suo atteggiamento davanti a Gesù, poiché esprime la sua ammirazione per il fatto che Gesù non si lava le mani. A quel tempo, lavarsi le mani prima del pasto era un obbligo religioso, imposto alla gente in nome della purezza, voluta dalla legge di Dio. Il fariseo rimase meravigliato dal fatto che Gesù non osservasse questa norma religiosa. Ma malgrado la loro totale diversità, il fariseo e Gesù hanno qualcosa in comune: per loro la vita è seria. Il modo di fare dei farisei era il seguente: ogni giorno, dedicavano otto ore allo studio ed alla meditazione della legge di Dio, altre otto ore al lavoro per poter sopravvivere con la famiglia ed otto ore al riposo. Questa testimonianza seria della loro vita dà loro una grande leadership popolare. Forse per questo, malgrado il fatto di essere totalmente diversi, i due, Gesù e i farisei, si capivano e si criticavano a vicenda, senza perdere la possibilità del dialogo.
• Luca 11,39-41: La risposta di Gesù. “Voi farisei purificate l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Piuttosto date in elemosina quel che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà mondo”. I farisei osservavano la legge alla lettera. Guardavano solo la scrittura e per questo erano incapaci di percepire lo spirito della legge, l’obiettivo che l’osservanza della legge voleva raggiungere nella vita delle persone. Per esempio, nella legge c’era scritto: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18). E loro commentavano: “Dobbiamo amare il prossimo, sì, ma solo il prossimo, non gli altri!” E da lì nasceva la discussione attorno alla questione: “Chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29) L’apostolo Paolo scrive nella sua seconda lettera ai Corinzi: “La lettera uccide, lo spirito dà vita” (3,6). Nel Discorso della Montagna, Gesù critica coloro che osservano la lettera della legge però ne trasgrediscono lo spirito (Mt 5,20). Per essere fedeli a ciò che Dio ci chiede non basta osservare letteralmente la legge. Sarebbe la stessa cosa che pulire il bicchiere all’esterno e lasciare la parte dentro piena di sporcizia: rapina e iniquità. Non basta non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non giurare. Osserva solo pienamente la legge di Dio colui che, oltre ciò che legge, va fino alla radice e strappa dal di dentro i desideri di “rapina ed iniquità” che possono portare all’assassinio, alla rapina, all’adulterio. E’ nella pratica dell’amore che si compie la pienezza della legge (cf. Mt 5,21-48).
• Rispettare la serietà di vita di coloro che pensano in modo diverso da noi può facilitare il dialogo oggi così necessario e difficile. Come pratico il dialogo in famiglia, nel lavoro ed in comunità?
Sant’Ignazio di Antiochia
Grado della Celebrazione: Memoria
Colore liturgico: Rosso
Nelle tre virtù teologali la speranza si trova tra la fede e la carità: si appoggia alla fede e dà slancio alla carità. Avere molta speranza è come orientarsi verso la cima di una montagna: chi vuoi raggiungerla desidera superare tutti gli ostacoli per poter contemplare il meraviglioso panorama che si gode dall’alto.
Sant’Ignazio d’Antiochia era colmo di un’immensa speranza; non assomigliava a quelli che san Paolo descrive nella lettera ai Filippesi, privi di speranza perché sono “tutti intenti alle cose della terra”. Nella lettera agli Efesini san Paolo attribuisce alla mancanza di speranza tutta l’immoralità del mondo pagano: non avendo speranza, si sono abbandonati ai loro desideri impuri, che li trascinano in basso. I cristiani invece sono uomini e donne ricchi di una grande speranza, sanno di essere cittadini del cielo “e di là aspettano come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”.
Anche il Signore, nel Vangelo di oggi, ci anima a una grande speranza: la speranza di conservare la nostra vita per la vita eterna, di essere con lui dove egli e, cioè nella gloria del Padre, di essere onorati dal Padre: “Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”. “Chi ha questa speranza dice san Giovanni si conserva puro”. E la speranza a dare la forza di resistere alle tentazioni, a dare il coraggio di resistere nelle difficoltà. Nella Colletta della messa di oggi chiediamo a Dio che la passione di sant’Ignazio di Antiochia sia per noi fonte di fortezza nella fede. Perché possiamo pregare cosi? Perché essa è una manifestazione di grande speranza. Sant’Ignazio ha avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla. Scrivendo ai Romani egli dice:
“C’è in me un’acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!”. E l’espressione della sua speranza: la parola di Cristo è diventata in lui come una sorgente che vuol zampillare fino al Padre. Egli ardeva dal desiderio di guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di Cristo. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”, leggiamo nel Vangelo. Nella sua grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido; scrive ai Romani di non intervenire per allontanare da lui quelle sofferenze che sono la ragione della sua speranza, perché grazie ad esse potrà ricevere la più grande grazia di Dio, la vittoria del martirio e infine la gloria di essere accanto a Cristo.
Ed ora Ignazio splende ai nostri occhi come un santo ardente di fervore e di amore, che ci fa vergognare dei nostri atteggiamenti di fronte alle piccole difficoltà della nostra vita. Il Signore vuol darci molto; per questo ci manda qualche sofferenza, che dovrebbe non diminuire ma far crescere la nostra speranza. Come san Paolo scrive ripetutamente, dovremmo poter dire: “Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza”. Ed è una speranza che non delude.
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Prima lettura | |||
Rm 1,16-25 Gli uomini, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato come Dio. |
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Salmo responsoriale | |||
Sal 18 | |||
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Lc 11,37-41 Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro. |
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IL SANTO DEL GIORNO
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I santi del 17 Ottobre 2017
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Sant’ IGNAZIO DI ANTIOCHIA Vescovo e martire – Memoria
m. 107 circa
Fu il terzo vescovo di Antiochia, in Siria, città che fu la terza metropoli del mondo antico – dopo Roma e Alessandria d’Egitto – e di cui san Pietro stesso era stato il primo vescovo. Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima. Mentre era vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Tr…
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Beato CONTARDO FERRINI Terziario fancescano
Milano, 5 aprile 1859 – Suna, Novara, 17 ottobre 1902
Contardo Ferrini nasce a Milano nel 1859. Ragazzo prodigio, a 17 anni consegue la licenza liceale, a 21 si laurea in giurisprudenza e, dopo un periodo di specializzazione a Berlino, a 24 insegna già diritto romano all’università di Pavia. Insegna poi a Messina e a Modena e nel 1894 torna a Pavia, dove resterà fino alla morte. Studioso, g…
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Santi CATERVIO, SEVERINA E BASSO Martiri
m. Tortona (AL), 68 circa
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