Preghiera per tutti, intorno alla mensa.
T. Grazie, Padre buono, per averci riuniti a questa tavola fraterna;
veglia su tutti noi, perché procediamo con gioia di spirito
nella ricerca gioiosa del Tuo regno, aiutaci a non chiuderci in noi stessi,
ma aprici agli altri, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Capo Fam. Il Signore ci benedica e ci protegga.
Disponga per tutti, giorni di pace e serenità.
Buona Festa e buon pranzo a tutti!
Il Natale ha assunto nel nostro mondo occidentale un tono, una
presenza fragrante e affascinante. È giusto riconoscere che questa grande
festa è vissuta spesso in maniera superficiale, però è anche da notare che
le luci, gli addobbi richiamano ed evocano Gesù luce del mondo, che è
venuto per dare gioia. Pure il pranzo di Natale, in qualsiasi modo si
svolga, è un invito a riaccendere le relazioni con i famigliari e gli amici. È
un appello alla dimensione degli affetti e del cuore. Nel Natale ci viene
ridato lo stupore: la capacità di aprire ancora gli occhi di fronte alla novità
di Dio. Un Dio venuto a cercare Adamo, è sceso nel cuore della storia, per
continuare un dialogo interrotto e per dirci, ancora, una volta, a ciascuno
di noi: Eccomi! Potrebbe sembrare l’ennesima vana rassicurazione per chi
conosce l’amaro calice della sofferenza quotidiana, eppure, l’incarnazione
del Verbo è la sicura e definitiva conferma che Dio non mente. L’amore di
Dio è la grazia del Natale. Una nuova speranza data all’umanità intera
perché impari una buona volta che la vera lezione della vita viene da un
bambino avvolto in fasce e posto in una mangiatoia (Lc 2,12). È
importante notare che il segno dato non è né l’angelo, né la gloria di Dio
che avvolse i pastori di luce, né la moltitudine dell’esercito celeste,
nemmeno la loro lode; no! Ma un bimbo avvolto in fasce e in una
mangiatoia. La mangiatoia di cui parla l’evangelista Luca non è la greppia
delle nostre stalle, ma la cesta che serviva ai pastori per portare con sé il
cibo occorrente per le lunghe soste dei pascoli. La Vergine madre depone
il Figlio nella sporta per il cibo dei pastori e anche questa è “segno” di
riconoscimento di colui che è nato, la cui novità si rivelerà nel farsi pane
e vino e pane per la fame e la sete dei cuori umili personificati dai pastori.
Nell’umile ma necessaria sporta degli alimenti troviamo un Bambino
fragile e indifeso. Troviamo l’annullamento di tutte le immagini, di tutti i
nomi con i quali l’uomo assetato di potenza aveva rivestito il mistero di
Dio. L’onnipotente diventa impotente, fanciullo indifeso e bisognoso del
tepore di un seno di donna, di culla; il tremendo diventa dolcissimo; il
condottiero di eserciti diventa un neonato fragile su cui alita il fiato di
pacifici animali. Certo, non Cesare imperatore, ma nemmeno la gente di
Betlemme che, sotto mille pretesti più o meno buoni, non riesce nemmeno
a dargli un posto: “Non c’era posto per loro” (Lc 2,7: è già annuncio della
Croce). Quando si è abbagliati dai mille fuochi del potere, come si
potrebbe scorgere la luce vera? Ma occorre dire di più: neppure noi lo avremmo riconosciuto giacché non siamo capaci di vedere che quel che fa
notizia sui giornali. Per scorgere la luce vera, occorre un cuore semplice
(cioè non diviso). Per questo i messaggeri divini sono mandati ai pastori
dei campi di Betlemme. Non è gente imbarazzata da cultura; seguono il
ritmo delle stagioni, sono uomini della terra, attaccati ai loro greggi, mal
visti dalla Comunità praticante, ma soprattutto sono (non per merito loro,
ma per necessità del loro lavoro) dei vigilanti: “Facevano la guardia di
notte” (Lc 2,8). Vegliare significa percepire le cose, scoprire come si
muovono, essere pronti alle sorprese, che spesso sono nefaste e possono
rovinare il gregge, ma che possono anche essere benedizione, non solo per
le pecore, ma anche per sé stessi. Ecco cosa vedono i pastori! Un fatto
semplice, di persone molto povere, ma in una cornice unica nella sua
grandezza. Vedono e trovano una mamma, un papà, un bambino come
mille altre, dentro una povera stalla ed una cesta dove si poneva il cibo.
Dio che viene sempre, non troverà mai posto nell’albergo posto anonimo
e di passaggio, ma lo ospiteremo dove c’è un papà e una mamma, dove
c’è amore, dove c’è una casa, la tua, la mia, le nostre. Lo accoglieremo
nella cesta dove conserviamo il nostro cibo: perché Lui sarà sempre il
nutrimento del nostro cammino per un’alba nuova che ci invita a portare
la nostra vita verso orizzonti nuovi. Quest’alba nuova che sorge ci invita
a portare la nostra vita verso questo orizzonte, verso questa coscienza
interiore che “possiamo” realizzare una storia nuova perché siamo
uomini e donne nuovi. Se oggi molti cercano un futuro senza Dio e
sperimentano la morte del futuro, è perché le Chiese hanno, a volte,
annunciato un Dio senza futuro, cioè un Dio senza novità storica, un Dio
astratto e somigliante ad una ideologia, più che a un Dio creatore e
inventore di storia nella fragilità dei nostri giorni. Dio vuole
assolutamente un futuro per noi e comincia a realizzarlo a Betlemme, tra
la paglia e con poveri pastori.
Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo,
Don Domenico, Padre Giorgio, Don Tony, Don Valerio
ed il seminarista Valerio.